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Per i giudici di legittimità, il grado di offensività che configura il delitto è già stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia di rilevanza penale
La Corte di legittimità, con la pronuncia in rassegna (n. 14595/2018), in primo luogo conferma quanto affermato implicitamente dalle Sezioni unite sulla necessità che ai fini della configurabilità del reato di omesso versamento dell’Iva previsto dall’articolo 10-ter del Dlgs 74/2000, in vigore dal 4 luglio 2006, è necessario che sia stata presentata la relativa dichiarazione annuale.
In questi termini si era espressa la sentenza della Corte regolatrice del diritto 12 settembre 2013, n. 37424, sul detto delitto omissivo punito – anteriormente alla novella disciplina penale del Dlgs n. 158/2015 – con la reclusione da sei mesi a due per anni chiunque non versi, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, l’Iva dovuta in base alla dichiarazione annuale per un ammontare superiore a 50mila euro per ciascun periodo di imposta (ora 250mila).
Tale interpretazione giurisprudenziale è stata avallata dalla successiva pronuncia del Supremo collegio 14 gennaio 2010, n. 6293 e, nel caso di specie, a nulla è stato ritenuto ostativo alla realizzazione del suddetto delitto che il curatore fallimentare avesse evidenziato nella tabella riepilogativa del fatturato per quel periodo d’imposta che il debito Iva fosse al di sotto della soglia di punibilità.
La decisività della presentazione della dichiarazione annuale Iva ai fini dell’integrazione della consumazione del reato ha indotto la giurisprudenza della Corte regolatrice del diritto a ritenere – di converso – l’irrilevanza che il debito d’imposta sia quello risultante aliunde, ossia quelle evincibile dalle scritture contabili o dalle fatture emesse.
Infatti, nella pronuncia della suprema Corte, citata da questa in commento 16 settembre 2016, n. 38487, con indicazione della precedente decisione di legittimità conforme 19 settembre 2012, n. 40361, venne evidenziato che il reato di omesso versamento Iva non è integrato qualora nella stessa dichiarazione sia esposto un credito tributario e che, in assenza di dichiarazione, il reato configurabile è quello dell’articolo 5 del Dlgs n. 74/2000.
In tale prospettiva ermeneutica, la sentenza del Supremo collegio che si commenta rammenta che le discrasie tra il debito erariale dichiarato e quello effettivo hanno il “proprio terreno elettivo nei reati in materia di dichiarazione di cui agli artt. 2, 3 e 4, d.lgs. n. 74 del 2000 i quali ben possono concorrere con quello di cui all’art. 10-ter”.
In ordine al superamento della soglia di punibilità, innalzata a 250mila euro dal citato Dlgs n. 158/2015 e, quindi, applicabile per effetto del principio del favor rei alle violazioni commesse precedentemente all’entrata in vigore della novella legislativa più favorevole al reo, la sentenza della Corte regolatrice del diritto in nota ritiene irrilevante il superamento per 4.345 euro.
Invero, si tratta di un discostamento minore del 2% della soglia stessa, ma il Supremo giudice ha ritenuto che il grado di offensività che dà luogo a reato è già stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia di rilevanza penale, come già evidenziato nelle sentenze citate da questa in nota 1 aprile 2016, n. 13218, e 5 maggio 2015, n. 40774.
Pertanto, risulta confermata la sentenza del supremo Collegio 7 gennaio 2013, n. 175, emessa nei riguardi dell’omesso versamento delle ritenute effettuate previsto e punito dall’articolo 10-bis del decreto legislativo di riforma dei reati tributari del 2000.
a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME
C’è danno erariale dell’albergatore.
L’obbligazione del titolare della struttura ricettiva di destinare all’ente locale le somme incassate ha carattere pubblicistico, con conseguente giurisdizione della Corte dei conti
In tema di imposta comunale di soggiorno sussiste la giurisdizione della Corte dei conti per danno erariale nei confronti del titolare della struttura ricettiva che ometta di versare all’ente locale le somme a tale titolo riscosse dai clienti. Questo il principio sancito dalla Corte di cassazione nell’ordinanza n. 19654 del 24 luglio scorso.
La vicenda processuale
Il gestore di una struttura ricettiva veniva chiamato davanti alla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti della Toscana a rispondere del danno erariale corrispondente all’ammontare dell’imposta di soggiorno incassata dai clienti negli anni 2012 e 2013 e successivamente non versata nelle casse comunali.
L’albergatore proponeva regolamento preventivo di giurisdizione, denunciando, con unico motivo, il difetto di giurisdizione della magistratura contabile.
In particolare, il ricorrente riteneva che, in virtù della riserva di legge prevista dall’articolo 23 della Costituzione, solo una norma di rango primario potesse imporre a carico degli albergatori una prestazione patrimoniale consistente nell’esazione dell’imposta di soggiorno, nella sua contabilità e nel successivo versamento nelle casse comunali. Per contro, la norma istitutiva dell’imposta in argomento (Dlgs 23/2011) nulla dispone in merito alle modalità della relativa riscossione, che viene affidata all’albergatore – a tal fine qualificato “agente contabile” – soltanto in forza di fonti di rango secondario, quali i regolamenti comunali. Ne discende, ad avviso dell’istante, la natura prettamente civilistica del rapporto tra albergatore e Pa, assimilabile a quello che si instaura in presenza di una delegazione di pagamento.
La pronuncia della Suprema corte
Con l’ordinanza in commento la Cassazione confuta le argomentazioni del ricorrente, giungendo ad affermare la sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti.
Nella propria articolata motivazione, i giudici di legittimità muovono, anzitutto, dalla considerazione che “l’attività di accertamento e riscossione dell’imposta comunale ha natura di servizio pubblico”, e che l’obbligazione del concessionario di versare all’ente locale le somme a tale titolo incassate ha carattere pubblicistico, discostandosi dal regime comune delle obbligazioni civili in ragione della tutela dell’interesse della pubblica amministrazione una pronta e sicura esazione delle entrate.
Il rapporto che si instaura tra privato ed ente pubblico si configura, dunque, a tutti gli effetti come “rapporto di servizio” non organico, bensì funzionale, in quanto il soggetto esterno si inserisce nell’iter procedimentale dell’ente come compartecipe (anche solo di mero fatto) dell’attività pubblicistica di quest’ultimo (cfr Cassazione sezioni unite n. 7663/2017).
Osserva ancora la Corte che, nell’ambito di tale rapporto, il privato incaricato di riscuotere denaro di spettanza dello Stato o di enti pubblici, del quale ha il maneggio nel periodo compreso tra la riscossione e il versamento, riveste perciò la qualifica di “agente contabile”.
Ne discende che “ogni controversia con l’ente impositore avente ad oggetto la verifica dei rapporti di dare e avere e il risultato finale di tali rapporti” rientra nella giurisdizione della Corte dei conti, dovendosi, a tal fine, avere riguardo unicamente alla natura del danno conseguente alla mancata realizzazione della finalità perseguita ed essendo, per contro, irrilevanti tanto la qualità del soggetto che gestisce il denaro pubblico, quanto il titolo in base al quale la gestione è svolta (cfr Cassazione sezioni unite n. 21297/2017).
Infine, secondo la Suprema corte, non è ravvisabile, nel caso di specie, alcun profilo di contrasto con il principio costituzionale della riserva di legge. In ossequio all’articolo 23 della Costituzione, infatti, la norma di rango primario istitutiva dell’imposta di soggiorno (articolo 4, Dlgs 23/2011) individua tutti gli elementi costitutivi della fattispecie e cioè: a) il soggetto attivo (Comuni capoluogo, quelli inclusi negli elenchi delle località turistiche o d’arte, eccetera); b) il presupposto impositivo (il soggiorno nella struttura ricettiva ubicata nel territorio comunale); c) il soggetto passivo (colui che alloggia nella struttura ricettiva); d) la misura massima del prelievo, demandando a fonti secondarie (regolamenti di attuazione e regolamenti comunali) la previsione delle specifiche modalità applicative del tributo.
In assenza del regolamento statale di attuazione, la disciplina è contenuta nei regolamenti comunali, i quali “affidano al gestore della struttura ricettiva attività obbligatorie e funzionali alla realizzazione della potestà impositiva dell’ente locale”, instaurando, così, come si è detto, un rapporto di servizio pubblico nel cui ambito le attività di riscossione e riversamento dell’imposta implicano la disponibilità materiale di denaro pubblico, generando il conseguente obbligo della “resa del conto” (cfr Corte costituzionale n. 292/2001).
In conclusione, quindi, come già precedentemente affermato dalle stesse Sezioni unite (Cassazione n. 1774/2013), spetta alla Corte dei conti la cognizione dell’azione di responsabilità per danno erariale “ove delle somme ricevute il privato disponga in modo diverso da quello preventivato e per il quale le ha ricevute”.
Fonte: Fisco Oggi, Rivista Telematica dell’Agenzia delle Entrate – articolo di Mariasole Ivaldi
Le modalità corrette per ottenere la restituzione di tributi non dovuti sono consultabili sul sito internet delle Entrate, il Fisco non invia comunicazioni per posta elettronica
Nuovi tentativi di phishing con oggetto “Re: Rimborso Rai – A8005W”: annunciano un parziale rimborso del canone Tv, ma nascondono un tentativo di truffa a danno dei cittadini.
Negli ultimi giorni, infatti, sono state segnalate false e-mail, apparentemente provenienti dall’Assistenza servizi telematici dell’Agenzia, ma in realtà inviate da un indirizzo contraffatto non riconducibile alle Entrate.
Nel testo del messaggio viene comunicato il riconoscimento di un parziale rimborso (14,90 euro) del canone Rai, per ottenere il quale si rimanda alla presentazione di una richiesta da un indirizzo del sito dell’Agenzia che, in realtà, nasconde un link a un sito fraudolento (www.area-agenzia-en.info).
L’oggetto della mail e l’importo del rimborso promesso possono anche variare; in ogni caso, queste e-mail non provengono da un indirizzo collegato all’Agenzia e nascondono un tentativo di truffa.
Le Entrate non inviano per posta elettronica comunicazioni relative ai rimborsi. Le modalità corrette per ricevere un rimborso fiscale sono consultabili sul sito www.agenziaentrate.gov.it, nella sezione Pagamenti e Rimborsi > Rimborsi.
L’Agenzia, pertanto, raccomanda di cestinare immediatamente questi messaggi, senza cliccare sui collegamenti presenti e, soprattutto, senza fornire i propri dati anagrafici e gli estremi della carta di credito nella pagina indicata nella mail.
Fonte: Fisco Oggi, Rivista Telematica dell’Agenzia delle Entrate
Le fatture dei costi in fotocopia non sono sufficienti per il Fisco.
Le disposizioni sulla tenuta e conservazione delle scritture contabili sono norma speciale rispetto al regime civilistico della prova documentale che, quindi, non si applica al processo tributario
Non sono deducibili i costi documentati unicamente da fotocopie di fatture, salvo che il contribuente dimostri di non essere in possesso dei documenti originali per causa a lui non imputabile.
È quanto chiarito dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 20365 del 31 luglio 2018, secondo cui l’obbligo di conservare gli originali delle fatture inerenti i costi sostenuti per l’esercizio dell’attività d’impresa, prescritto dall’articolo 22 del Dpr 600/1973, costituisce una deroga ai principi civilistici, che, invece, conferiscono alle fotocopie non disconosciute la medesima efficacia probatoria dei documenti originali.
La vicenda processuale
Con sentenza del 27 aprile 2015, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna ha confermato la decisione resa dal giudice di prime cure, che aveva parzialmente annullato l’avviso di accertamento emesso ai fini Iva, Ires e Irap, per l’anno d’imposta 2006, dalla direzione provinciale di Bologna.
Con l’atto impugnato l’Agenzia delle entrate aveva recuperato alcuni costi considerati non deducibili dalla società accertata o perché non inerenti all’attività di impresa o perché non adeguatamente documentati.
Secondo il giudice di secondo grado, dal momento che l’Agenzia delle entrate si era limitata a contestare genericamente la deducibilità dei predetti costi, la documentazione in atti sarebbe ampiamente sufficiente a provare l’esistenza, l’inerenza e la deducibilità degli stessi costi.
Avverso la decisione di secondo grado, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione deducendo – ex articolo 360, primo comma, n. 3, cpc – la violazione/falsa applicazione degli articoli 109 Tuir e 2697 cc, 22 Dpr 600/1973, 115 cpc, per avere erroneamente affermato la decisione impugnata la deducibilità dei costi in oggetto in presenza di un quadro fattuale non contestato, che evidenziava, di contro, l’assenza dei presupposti richiesti dall’articolo 109 del Dpr 917/1986 sia in punto di esistenza sia di inerenza.
La decisione della Corte
Preliminarmente, la Corte di cassazione, nel ribadire un proprio orientamento consolidato (cfrCassazione, 13300/2017, 26840/2010, 4554/2010, 11240/2002), ricorda che incombe sul contribuente “…l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili”, precisando, inoltre, che “non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’aggetto dell’impresa”.
Nel caso di specie, chiarisce il Giudice di legittimità, l’Agenzia delle entrate ha ritenuto indeducibili le spese postali, in quanto documentate solo in fotocopia; nonché le spese di rappresentanza relative a viaggi sostenuti da una persona fisica non socia, né rappresentante della società nell’anno accertato, né destinataria di procura speciale documentata.
La società contribuente non ha contestato il quadro fattuale di riferimento.
Ciò posto, secondo la Corte di cassazione, la decisione del giudice di seconde cure è censurabile, in quanto si pone in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale ricordato, oramai consolidato, che fa gravare sul contribuente l’onere di dimostrare la deducibilità dei costi contestati dall’Agenzia.
Il giudice di secondo grado, infatti, pur in presenza di un quadro fattuale non contestato dalla contribuente, ha ritenuto i rilievi dell’Agenzia troppo generici, riconoscendo la deducibilità dei costi in oggetto, sovvertendo così l’onere della prova (cfr in proposito Cassazione, 16461/2013).
Nello specifico, la Commissione tributaria regionale ha omesso di “…rilevare che l’art. 22 del d.P.R. n. 600/1973, che esige di conservare gli originali delle fatture inerenti i costi sostenuti per l’esercizio dell’attività d’impresa, costituisce una deroga ai principi generali del diritto civile, secondo i quali le fotocopie non disconosciute hanno la medesima efficacia probatoria degli originali, di modo che va esclusa la deducibilità dei costi documentati unicamente da fotocopie di fatture, salvo che il contribuente fornisca una plausibile giustificazione della mancata conservazione dei documenti originali per causa a lui non imputabile”.
Ciò premesso, il Giudice di legittimità ha cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa al giudice a quo per il prosieguo del giudizio nell’osservanza del principio di diritto enunciato.
Osservazioni
La pronuncia in commento ribadisce un principio di diritto già in precedenza espresso dalla Corte di cassazione con le sentenze 2898 e 4502 del 2009.
Secondo l’orientamento del Giudice di legittimità, la normativa tributaria, pur mutuando alcuni principi di base dal diritto civile, ove compatibili, per molti altri aspetti si discosta dalla normativa civilistica, proprio in ragione dell’indisponibilità del rapporto tributario e, conseguentemente, del suo regime probatorio.
Benché, dunque, l’articolo 2712 cc preveda che “Le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”, di diverso avviso è l’articolo 22 del Dpr 600/1973, secondo cui “…devono essere conservati ordinatamente, per ciascun affare, gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevuti e le copie delle lettere e dei telegrammi spediti e delle fatture emesse”.
L’articolo 22 citato è norma speciale rispetto al regime civilistico della prova documentale disciplinato dall’articolo 2712 cc, che, quindi, non si applica al processo tributario.
Dunque, il contribuente può dimostrare la sussistenza dei requisiti prescritti dall’articolo 109 del Dpr 917/1986 (Tuir), ai fini della deducibilità dei costi, solo producendo documentazione originale, salvo giustificare il fatto di non aver conservato gli originali per causa non imputabile, ad esempio per distruzione accidentale o forza maggiore.
Fonte: Fisco Oggi, Rivista Telematica dell’Agenzia delle Entrate – articolo di Sapia Rutigliano
pubblicato Venerdì 24 Agosto 2018
Contratti di lavoro a termine
Il contratto di lavoro a termine può essere rinnovato solo a fronte delle condizioni giustificative individuate dalla legge. La proroga può essere effettuata liberamente soltanto nei primi 12 mesi. In caso di violazione il rapporto di lavoro si trasforma automaticamente a tempo indeterminato. In caso di stipula di un contratto di durata superiore a 12 mesi in assenza di causale, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di 12 mesi.
La legge di conversione del decreto Dignità lascia fuori dal campo di applicazione delle nuove regole sul contratto a termine alcune tipologie di attività:
• l’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali;
• gli organi di amministrazione e controllo delle società e partecipanti a collegi e commissioni; – le collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate C.O.N.I.;
• la produzione e realizzazione di spettacoli da parte delle fondazioni;
• le prestazioni effettuate in favore del Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico (CNSAS) del Club alpino italiano (CAI).
• le attività stagionali, nel cui ambito i contratti di lavoro possono essere rinnovati o prorogati anche in assenza delle condizioni giustificatrici.
E’ previsto un periodo transitorio, fino al 31 ottobre 2018, durante il quale le nuove regole non si applicano ai rinnovi e alle proroghe contrattuali stipulati prima del 14 luglio 2018.
Esonero contributivo per favorire l’occupazione giovanile
Viene introdotto un incentivo per l’occupazione giovanile stabile riservato ai datori di lavoro privato che, negli anni 2019 e 2020, assumono lavoratori under 35 con un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a tutele crescenti.
La possibilità di fruire dell’incentivo si estende anche alla stabilizzazione del contratto a tempo determinato.
Lo sgravio è riconosciuto, per un periodo massimo di 36 mesi, in misura pari al 50 per cento dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro:
• con esclusione dei premi e contributi dovuti all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro;
• nel limite massimo di 3.000 euro su base annua, riparametrato e applicato su base mensile.
I soggetti da assumere non devono essere mai stati occupati a tempo indeterminato con il medesimo o con altro datore di lavoro.
N.B. Non ostano al riconoscimento dell’esonero contributivo gli eventuali periodi di apprendistato svolti presso un altro datore di lavoro e non proseguiti in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Si applica l’aliquota Iva ordinaria
Il trattamento da riservare a un qualsiasi bene è strettamente collegato alla classificazione doganale dello stesso in uno dei capitoli della tariffa integrata comunitaria
Alle cessioni di alimenti per cani e gatti, condizionati per la vendita al minuto, non è applicabile l’aliquota Iva agevolata del 10%, bensì quella ordinaria del 22%.
È questo, in sintesi, il contenuto della risoluzione n. 60/Edel 7 agosto 2018, emanata dall’Agenzia delle entrate e suffragata dal parere tecnico formulato all’Agenzia delle dogane e dei monopoli.
Il quesito
Nel quesito rivolto all’Amministrazione, la società istante sottolinea che, nell’ambito della propria attività di fabbricazione di prodotti parafarmaceutici per la salute e il benessere degli animali domestici, ne commercializza alcuni che integrano l’alimentazione degli animali e che sono classificati dalla normativa europea come “mangimi (o alimenti) dietetici complementari per cani e gatti”. Il dubbio sollevato dalla società riguarda la corretta aliquota Iva applicabile alle cessioni di questi prodotti.
La risposta dell’Agenzia
Allo scopo di dare una risposta esaustiva alla richiesta del contribuente, e in considerazione del fatto che il trattamento Iva da riservare a un qualsiasi bene è strettamente collegato alla classificazione doganale dello stesso in uno dei capitoli della tariffa integrata comunitaria (Taric), le Entrate hanno richiesto all’Agenzia delle dogane e dei monopoli di fornire il proprio parere tecnico.
Questo parere è finalizzato ad accertare la composizione e la qualificazione merceologica dei beni ai fini doganali, la cui acquisizione permette di facilitare l’individuazione e la verifica dei requisiti e delle condizioni richieste dalla Tabella A, allegata al Dpr 633/1972, per l’applicazione delle aliquote Iva ridotte.
Nel caso in esame, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, anche sulla base della valutazione tecnica dei Laboratori chimici, ha ritenuto di classificare i prodotti in questione, nell’ambito del capitolo 23 della Tariffa doganale “Residui e cascami delle industrie alimentari; alimenti preparati per gli animali”, alla voce 2309: “Preparazioni dei tipi utilizzati per l’alimentazione degli animali” e in particolare alla sottovoce 230910 quali “Alimenti per cani o gatti, condizionati per la vendita al minuto”.
Proprio in virtù della classificazione doganale nella sottovoce 230910, non è consentita l’applicazione dell’aliquota Iva agevolata, poiché i prodotti ivi ricompresi, stante l’attuale formulazione letterale della normativa in materia di Iva, risultano espressamente esclusi dall’applicazione dell’aliquota ridotta del 10%. Di conseguenza, viene confermata l’applicazione dell’Iva ordinaria nella misura del 22% alle cessioni di tali beni.
Fonte Agenzia delle Entrate
Presentazione esclusivamente on line tramite i servizi messi a disposizione dall’Agenzia delle entrate, utilizzando Spid, le credenziali di Fisconline o Entratel, oppure la Cns
Approvato, con il provvedimento del capo dipartimento per l’Informazione e l’editoria della presidenza del Consiglio dei ministri, datato 31 luglio 2018, il modello (con le relative istruzioni) di comunicazione telematica necessaria per l’accesso all’incentivo fiscale riconosciuto in caso di investimenti pubblicitari incrementali realizzati sulla stampa e sulle emittenti radio-televisive a diffusione locale.
L’agevolazione è stata introdotta dall’articolo 57-bis del Dl 50/2017, mentre il Dpcm 16 maggio 2018 n. 90 ha stabilito, nel rispetto della normativa europea, le modalità applicative della misura e le regole per l’accesso al contributo (vedi “Credito d’imposta pubblicità: le novità del decreto attuativo” e “Credito d’imposta pubblicità: decreto attuativo in Gazzetta”).
La comunicazione deve essere presentata dalle imprese, dai lavoratori autonomi e dagli enti non commerciali che intendono beneficiare dell’incentivo per gli investimenti incrementali in campagne pubblicitarie su quotidiani e periodici (anche on line) e su tv e radio locali (analogiche o digitali), effettuati o da effettuare nell’anno agevolato.
Per la compilazione, attenzione all’anno
Nel modulo può essere barrata la casella corrispondente alla “Comunicazione per l’accesso al credito d’imposta”, contenente gli investimenti programmati per l’anno agevolato, o alla “Dichiarazione sostitutiva relativa agli investimenti effettuati”, in cui si dichiara la concreta realizzazione degli investimenti indicati precedentemente nella comunicazione di accesso al credito.
Attenzione per il 2017, la scelta è obbligata: va presentata soltanto la “Dichiarazione sostitutiva relativa agli investimenti effettuati”.
Nel caso in cui il contributo richiesto superi i 150mila euro, l’interessato deve rilasciare una delle seguenti dichiarazioni:
• di essere iscritto negli elenchi dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa
• di aver indicato nel riquadro “Elenco dei soggetti sottoposti alla verifica antimafia” i codici fiscali di tutti i soggetti da sottoporre alla verifica antimafia (articolo 85, Dlgs 159/2011).
Comunicazione, soltanto on line
Il modello può essere presentato, esclusivamente per via telematica, al dipartimento per l’Informazione e l’editoria, attraverso i servizi telematici dell’Agenzia delle entrate, direttamente dal richiedente il contributo o da una delle società dell’eventuale gruppo societario oppure da un intermediario abilitato.
L’accesso all’area riservata del sito delle Entrate dal quale effettuare l’invio può avvenire tramite Spid, le credenziali Entratel o Fisconline rilasciate dalla stessa Agenzia oppure con la Carta nazionale dei servizi.
Il sistema restituirà, sempre on line, l’attestazione della corretta trasmissione del modello.
Tempistiche diverse per la presentazione
Le dichiarazioni sostitutive per beneficiare degli investimenti 2017 e le comunicazioni per l’accesso al credito riguardanti gli investimenti 2018 devono essere presentate, separatamente, dal 22 settembre al 22 ottobre 2018. Invece, le dichiarazioni sostitutive relative agli investimenti 2018 dovranno essere trasmesse dal 1° al 31 gennaio 2019.
Il “responso” per il 2018 arriverà entro il prossimo 21 novembre: il dipartimento pubblicherà online l’elenco dei richiedenti con l’indicazione dell’eventuale somma teoricamente spettante, in attesa della ripartizione definitiva dei fondi stanziati. Un successivo provvedimento renderà noto l’ammontare del credito effettivamente fruibile per gli investimenti realizzati negli anni 2017 e 2018.
Ordinariamente
Il provvedimento del 31 luglio detta le modalità specificatamente per le annualità 2017 e 2018, in attesa del via libera della Comunità europea alla maggiorazione del credito d’imposta prevista (e temporaneamente sospesa) per le microimprese, le piccole e medie imprese e per le start-up innovative.
In via ordinaria, la comunicazione dovrà essere presentata dal 1° al 31 marzo di ciascun anno e la dichiarazione sostitutiva dal 1° al 31 gennaio dell’anno successivo.
Per ogni annualità può essere presentata soltanto un comunicazione e una dichiarazione sostitutiva, e in caso di più invii l’ultima è ritenuta quella valida.
F.te Agenzia Entrate
Call center Agenzia delle entrate:
da agosto numeri nuovi e gratuiti.
Per ricevere assistenza fiscale telefonica, i contribuenti dovranno comporre, a seconda del tipo di richiesta, l’800.90.96.96 o l’800.89.41.41. La chiamata, inoltre, non avrà più costi
Dal prossimo 1° agosto cambiano i numeri da comporre per contattare il call center dell’Agenzia delle entrate e ricevere assistenza telefonica. I nuovi recapiti sono: l’800.90.96.96 (per avere informazioni su questioni fiscali generali, rimborsi, cartelle e comunicazioni di irregolarità e per prenotare un appuntamento) e l’800.89.41.41 (per ricevere assistenza sugli avvisi di accertamento parziale notificati ai proprietari di immobili affittati, per i quali sono state rilevate incongruità rispetto ai redditi dichiarati, e per avere informazioni sulle altre lavorazioni gestite dal Centro operativo di Pescara).
Con i nuovi recapiti arriva anche un’ulteriore novità: la chiamata, infatti, diventa gratuita.
La vecchia numerazione (848.800.444 e 848.448.833), con tariffa urbana a tempo, resterà comunque attiva per tutto il 2018. Fino al 31 dicembre, infatti, saranno operativi sia i recapiti “con addebito” sia quelli “verdi”. Se il contribuente dovesse digitare i recapiti telefonici precedentemente in uso, un messaggio vocale gli indicherà la nuova numerazione. A questo punto sarà possibile scegliere di richiamare con il numero verde oppure di rimanere in linea (in questo caso, però, ci sarà l’addebito del costo della telefonata).
Falsi avvisi di “rimborsi fiscali”:
l’Agenzia raccomanda di cestinarli
Stanno circolando in questi giorni messaggi di posta elettronica con cui si informano i destinatari di un presunto accredito non andato a buon fine; in realtà si tratta di una truffa
Nuovi tentativi di phishing ai danni dei cittadini che hanno ricevuto, via mail, false notifiche di rimborsi fiscali. I messaggi contengono il logo dell’Agenzia e informano di un accredito non andato a buon fine, invitando il destinatario a fornire una serie di dati.
L’Agenzia delle entrate, totalmente estranea all’invio di questi messaggi, raccomanda di non dare seguito al loro contenuto; si tratta, infatti, di un tentativo di truffa informatica elaborata per entrare in possesso di informazioni riservate.
Per evitare danni al proprio pc, l’Agenzia invita i destinatari delle mail a cestinarle immediatamente.
Le informazioni relative ai rimborsi non sono mai inviate tramite messaggi di posta elettronica, ma si possono consultare sul sito dell’Agenzia nella sezione “Come sono pagati i rimborsi”.